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Il valore delle dichiarazione rese nel modello di constatazione amichevole (Cassazione 16376/10 e SS.UU. 10311/06)

Materia: Risarcimento danni - Fonte: Cassazione - 24.08.2010
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Abstract: Un po' di chiarezza

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Aggiornamento del 24/01/11: sul tema interviene nuovamente la Cassazione , con la sentenza n.739/11, che conferma l'orientamento qui indicato.


Aggiornamento del 7/04/11: orientamento ribadito da Cass. 6526/11.

 

* * *

 

Non c'è dubbio che il rapporto tra le dichiarazioni rese nel modello c.a.i. e i soggetti coinvolti, a vario titolo, nel rapporto che scaturisce a seguito di sinistro stradale, sia uno dei più controversi nell'ambito della responsabilità extracontrattuale.

 

La stessa giurisprudenza non ha mancato di  pronunciarsi in maniera differente tanto da richiedere già nel 2006 un intervento delle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. 10311/06, riprodotta sotto) e un nuovo intervento, questa volta della Terza Sezione, nel corrente anno.

 

Il principio da applicare è quello secondo cui:

 

le dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno, proprietario del veicolo assicurato, chiamato in causa quale litisconsorte necessario, non possono dar luogo a un differenziato giudizio di responsabilità, con riferimento al rapporto tra responsabile e danneggiato, da un lato, e a quello tra danneggiato ed assicuratore dall'altro. Esse, liberamente apprezzate dal giudice, devono essere oggetto di una valutazione unitaria nei confronti di tutti e ciascuno dei litisconsorti.

 

Ciò sulla base dell'applicazione del principio sancito dall'art. 2733 de codice civile, che vale la pena riportare:

 

E' giudiziale la confessione resa in giudizio.
Essa forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili.
In caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei.litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice.

 

In particolare, evidentemente, nel caso del modello di constatazione amichevole di incidente trova applicazione il terzo comma.

 

                                                                                                          Renato Savoia

 

* * *

 

 

Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-07-2010, n. 16376

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele - Presidente

Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere

Dott. TALEVI Alberto - Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25695/2006 proposto da:

*****, ***** in proprio ed in qualità di genitrice esercente la potestà sul figlio minore *****, elettivamente domiciliati in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, rappresentati e difesi dagli avvocati *****,***** giusta delega a margine del ricorso; - ricorrenti -

contro

***** S.P.A. ***** in persona dei legali rappresentanti ***** e *****, elettivamente domiciliata in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso; - controricorrente -

e contro

*****; - intimato -

avverso la sentenza n. 1719/2005 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE, I SEZIONE CIVILE, emessa il 5/7/2005, depositata il 25/08/2005, R.G.N. 3885/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/05/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per li rigetto del ricorso che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del ricorso.

Svolgimento del processo

Con citazione del giugno 1999 ***** e *****, quest'ultima in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sul figlio *****, convenivano in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere ***** e *****Ass.ni s.p.a., chiedendo di essere risarciti dei danni fisici subiti in occasione di un incidente verificatosi il *****, allorchè l'autovettura sulla quale viaggiavano era stata violentemente tamponata da una Mecedes Benz di proprietà del ***** e dallo stesso condotta.

Resisteva la sola società assicuratrice che contestava l'avversa pretesa.

Con sentenza del 21 novembre 2000 il giudice adito rigettava la domanda.

Proponevano appello i soccombenti e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in data 25 agosto 2005, in parziale riforma della impugnata sentenza, dichiarava che la responsabilità del sinistro era da ascrivere, al 50%, a *****, per l'effetto condannandolo al risarcimento dei danni in favore di ***** e di *****, nella misura, quanto al primo, di Euro 3.093,29 (di cui Euro 618,86, a titolo di danno morale), e, quanto alla seconda, di Euro 200,00, oltre svalutazione e interessi dal fatto al soddisfo; rigettava la domanda proposta da *****, quale genitore esercente la potestà genitoriale sul minore *****; compensava integralmente tra le parti le spese di lite.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione ***** e *****, in proprio e nella qualità, formulando quattro motivi e notificando l'atto a ***** s.p.a. e a *****. Solo la prima ha notificato controricorso, illustrato anche da memoria.

Motivi della decisione

1 - Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazioni dell'art. 1917 cod. civ., mancanza e insufficienza della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice di merito rigettato la domanda proposta nei confronti di ***** sul presupposto della mancanza di elementi di prova ulteriori, rispetto alle dichiarazioni contenute nel modello CAI, senza considerare che la stessa compagnia assicuratrice non aveva mai negato la collisione tra i due veicoli, limitandosi a contestare la responsabilità esclusiva del suo assicurato, e che in ogni caso, ritenuto provato il sinistro stradale tra i soggetti indicati nel modulo, la condanna andava senz'altro estesa all'assicuratore, tenuto a tenere indenne l'assicurato ex art. 1917 cod. civ., di quanto lo stesso sia tenuto a pagare a terzi.

1.2 - Le critiche sono fondate.

L'opinione secondo cui la confessione del danneggiante assicurato farebbe piena prova nel rapporto tra questi e il danneggiato, mentre potrebbe essere liberamente apprezzata dal giudice nel diverso rapporto tra assicurato ed assicuratore (sul presupposto che non in tutti i casi in cui è necessaria la partecipazione al giudizio di una pluralità di parti ex art. 102 cod. proc. civ., sussisterebbe anche la necessità che la sentenza sia unica per tutte), è stata expressis verbis disattesa dalle Sezioni Unite di questa Corte che, affrontando funditus il problema della efficacia probatoria delle dichiarazioni del litisconsorte responsabile del sinistro, hanno segnatamente evidenziato che l'accertamento dei due rapporti in cui questi è coinvolto - quello col danneggiato, sorto dal fatto illecito, e quello, di origine contrattuale, con l'assicuratore - non può che essere "unico e uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel processo" (Cass. civ., sez. unite, 5 maggio 2006, n. 10311).

L'approdo esegetico si è giovato del rilievo che nella giurisprudenza di legittimità, sin dagli anni ottanta (Cass. sez. un. nn. 5218 e 5219 del 1983), è costante l'affermazione che la L. n. 990 del 1969, prevedendo l'azione diretta del danneggiato contro l'assicuratore, e limitando le eccezioni che questi gli può opporre (L. n. 990 del 1969, art. 18), ha creato, accanto ai due innanzi indicati, un terzo rapporto che, "sul presupposto del primo e in attuazione del secondo", obbliga ex lege l'assicuratore verso il soggetto leso: di talchè questi, allorchè agisce in giudizio, non chiede che l'assicuratore sia condannato ad adempiere in suo favore l'obbligo contrattualmente assunto nei confronti dell'assicurato, ma fa valere un diritto suo proprio.

In tale contesto, e con particolare riguardo alle dichiarazioni confessorie rese dal presunto responsabile, siano o meno contenute nel cosiddetto CID, le sezioni unite hanno quindi negato che, nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 18, possa, in base ad esse, pervenirsi a decisioni differenziate, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall'altro. In particolare, precisato che dichiarazioni confessorie sono solo quelle in cui siano ammessi fatti che, "valutati alla stregua delle regole in materia", possano portare alla condanna del soggetto che le ha rese (e non quindi le mere assunzioni di responsabilità o di colpa), hanno affermato che l'eventuale confessione, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro sottoscritto dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e - come tale - litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, in applicazione della regola racchiusa nell'art. 2733 cod. civ., comma 3, secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario, la capacità probatoria della confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l'appunto, affidata alla prudente valutazione del giudice (confr. Cass. civ., sez. unite, 5 maggio 2006, n. 10311; Cass. civ., sez. 3^, 25 gennaio 2008, n. 1680).

Peraltro, posto che litisconsorzio necessario sussiste solo tra proprietario del veicolo, nel quale si identifica il responsabile del danno di cui parla la L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 23, e assicuratore, mentre non sussiste, a norma dell'art. 2054 cod. civ., comma 3, tra conducente e assicuratore medesimo, ovvero tra conducente e proprietario, le affermazioni confessorie sottoscritte dal primo nel modello di constatazione vanno liberamente apprezzate nei confronti dell'assicuratore e del proprietario del veicolo, mentre fanno piena prova nei confronti del confitente secondo l'art. 2733 c.c., comma 2, artt. 2734 e 2735 cod. civ. (Cass. civ., 7 maggio 2007, n. 10304).

1.3 - Ora, pacifico che nella fattispecie il CID era stato sottoscritto dal responsabile del danno - e cioè dal guidatore proprietario del mezzo, litisconsorte necessario della compagnia assicuratrice - non poteva il giudice di merito valutare in maniera difforme le dichiarazioni dallo stesso rese, così accogliendo la domanda risarcitoria proposta dai danneggiati nei confronti dell'uno e rigettandola invece nei confronti dell'altro.

La violazione dei principi in materia di efficacia probatoria della confessione come innanzi ricostruiti impone la cassazione, sul punto, della sentenza impugnata.

2.1 - Col secondo mezzo i ricorrenti lamentano vizi motivazionali con riferimento alla ritenuta operatività della presunzione di pari responsabilità nella causazione dell'incidente di cui all'art. 2054 cod. civ., comma 2, senza considerare che nel modulo di constatazione amichevole del sinistro risultava marcata la casella 8, relativa al tamponamento e che lo stesso fiduciario della compagnia assicuratrice aveva riferito di un urto da tergo di notevole entità (doc. n. 4 del fascicolo di secondo grado).

2.2 - Anche tali censure sono fondate.

Il Tribunale, affermata la responsabilità di ***** sulla base del rilievo che lo stesso non solo aveva sottoscritto il CID, ma neppure si era presentato a rendere l'interrogatorio formale deferitogli, ha ritenuto di dover fare applicazione della presunzione di concorso di colpa di cui all'art. 2054 cod. civ., in ragione della mancanza della benchè minima descrizione delle modalità del sinistro.

Trattasi tuttavia di rilievo puramente assertivo, per giunta in contrasto con le non contestate risultanze del CID, nel quale la dinamica dell'incidente è chiaramente descritta in termini di tamponamento. La decisione contraddice pertanto il principio di diritto, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., n. 3282/2006; Cass., n. 11444/98; Cass., n. 8917/95; Cass., n. 5672/90; Cass., n. 3343/90), e dal quale non v'è ragione di discostarsi, secondo cui, per il disposto dell'art. 149, comma 1, C.d.S. (T.U. del D.L. 30 aprile 1992, n. 285), sostanzialmente riproduttivo dell'art. 107 C.d.S. previgente, il conducente deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l'avvenuta collisione pone a suo carico una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con conseguente inapplicabilità della presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054 cod. civ., comma 2, e onere del guidatore di dimostrare che il mancato, tempestivo arresto del mezzo e il successivo impatto sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili (confr. Cass. civ. 21 settembre 2007, n. 19493).

Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere cassata anche in relazione a tale motivo.

3.1 - Si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, i successivi due motivi di ricorso.

Col terzo mezzo deducono gli impugnanti vizio motivazionale con riferimento alla disposta liquidazione in via equitativa del danno patito da ***** nella misura di Euro 200,00 soltanto, ivi comprese le spese mediche, dimenticando che la relazione del consulente di parte, Dott. *****, aveva riconosciuto alla stessa un danno biologico nella misura del 2%, una invalidità temporanea totale di giorni 30 e parziale di giorni 15.

Il giudice di merito avrebbe poi ingiustificatamente ignorato il rapporto ospedaliero del minore *****.

3.2 - Con il quarto motivo lamentano violazione dell'art. 2697 cod. civ., per avere il giudice d'appello negato al guidatore del veicolo ***** il danno patrimoniale, sull'assunto che lo stesso dovesse ritenersi non provato, laddove l'infortunato aveva documentalmente dimostrato che, a causa delle lesioni riportate, non aveva potuto eseguire i lavori di ristrutturazione commissionatigli da un cliente e riscuotere le somme assegnate a titolo di contributo.

Aggiunge che la disposta compensazione delle spese di causa è del tutto illogica.

3.3 - Le doglianze non hanno pregio.

Nel determinare l'ammontare del risarcimento spettante agli attori, ha affermato il giudice a quo, per quanto qui interessa: a) relativamente al guidatore dell'autovettura, *****, che non era emerso alcun rapporto di consequenzialità tra il sinistro per cui è causa e il mancato incarico ad effettuare lavori di ristrutturazione;

quanto a P.M., che, tenuto conto del concorso di colpa di cui all'art. 2054 cod. civ., le andava equitativamente riconosciuta la somma di Euro 200,00, di cui Euro 40,00 per spese mediche; c) infine, quanto al minore *****, che nulla poteva essergli attribuito, non essendo stata prodotta certificazione medica di sorta, sulla cui base liquidare il danno.

3.4 - Ciò posto, le contestazioni relative al mancato riconoscimento del pregiudizio subito da ***** per effetto dell'impossibilità di espletare un incarico professionale si risolvono in una sollecitazione alla rilettura del materiale istruttorie preclusa in sede di legittimità.

Quanto poi agli altri rilievi critici, essi, nella parte in cui richiamano le pretese, difformi conclusioni del perito o documentazione ospedaliera asseritamente ignorata dal decidente, difettano, a tacer d'altro, di autosufficienza. Si ricorda in proposito che la parte che, deducendo un vizio di motivazione, si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia basato il proprio convincimento disattendendo le risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti, siano essi d'ufficio o di parte, o di documenti prodotti, non può limitarsi a censure apodittiche di erroneità o di inadeguatezza della motivazione o anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e del carattere di giudizio a critica vincolata di tale mezzo di impugnazione, è tenuta ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese o i documenti asseritamente non valutati, in modo da consentire al giudice di legittimità (cui non è dato di esaminare direttamente gli atti se non in presenza di errores in procedendo) di effettuare, preliminarmente, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal giudice di merito, il controllo della decisività della risultanza non valutata o pretesamente valutata in modo erroneo o insufficiente (Cass. civ., 3 novembre 2004, n. 21090).

3.5 - Infine, quanto alla compensazione delle spese di causa, le contestazioni dei ricorrenti non tengono conto del fatto che nei giudizi ai quali, ratione temporis, non si applica la legge 28 dicembre 2005, n. 263, che, modificando l'art. 92 cod. proc. civ., ha introdotto l'obbligo del giudice di indicare le ragioni della compensazione delle spese di lite, la decisione di provvedere in tal senso non è censurabile in sede di legittimità, salvo i casi di mancanza assoluta di motivazione - integrando siffatta ipotesi gli estremi della violazione di legge di cui all'art. 92 cod. proc. civ (confr. Cass. civ. 19 novembre 2007, n. 23993) - ovvero di enunciazione di ragioni palesemente e macroscopicamente illogiche, idonee cioè a inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale (Cass,. civ., 11 febbraio 2008, n. 3218): fattispecie tutte che qui non ricorrono.

4 - In definitiva, il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere accolti; il terzo e il quarto rigettati, solo precisandosi, per scrupolo di completezza, che le somme liquidate a ***** e a ***** in proprio potranno subire variazioni in sede di rinvio, a seguito dell'eventuale riformulazione del giudizio di responsabilità sull'eziologia dell'incidente.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai due motivi accolti e rinviata, anche per le spese, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, le dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno, proprietario del veicolo assicurato, chiamato in causa quale litisconsorte necessario, non possono dar luogo a un differenziato giudizio di responsabilità, con riferimento al rapporto tra responsabile e danneggiato, da un lato, e a quello tra danneggiato ed assicuratore dall'altro. Esse, liberamente apprezzate dal giudice, devono essere oggetto di una valutazione unitaria nei confronti di tutti e ciascuno dei litisconsorti.

Il giudice di rinvio dovrà inoltre motivare tenendo conto che l'avvenuta collisione di un veicolo con quello che lo precede pone a carico del conducente una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054 cod. civ., comma 2, egli resta gravato dall'onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; rigetta il terzo e il quarto; cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione.

 

* * *

Cass. civ. Sez. Unite, 05-05-2006, n. 10311

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto

Dott. OLLA Giovanni - Presidente di sezione

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere

Dott. LO PIANO Michele - rel. Consigliere

Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere

Dott. COLETTI Gabriella - Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso proposto da:

*****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato ***** - STUDIO *****, rappresentato e difeso dall'avvocato *****, giusta delega a margine del ricorso; - ricorrente -

contro

*****, ***** S.P.A.; - intimati -

avverso la sentenza n. 657/99 del Tribunale di SASSARI, depositata il 15/12/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/10/05 dal Consigliere Dott. Michele LO PIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MACCARONE Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

***** convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Alghero, ***** e la s.p.a. *****, assicuratrice per la responsabilità civile dell'auto di quest'ultimo, e ne chiese la condanna, in solido, al risarcimento dei danni subiti a seguito di incidente stradale, la cui responsabilità era da attribuire al , come dallo stesso riconosciuto con la sottoscrizione del modulo di constatazione del sinistro (cd. CID).

Si costituì in giudizio la compagnia di assicurazione, che chiese il rigetto della domanda, deducendo la inattendibilità di quanto risultante dal CID. ***** rimase contumace.

Il Giudice di pace, ritenuto il concorso di colpa del *****, nella misura del 20%, e del *****, nella misura dell'80%, condannò il ***** e la compagnia di assicurazione, in solido, a pagare al ***** il 20% dei danni da questi subiti, condannandolo a pagare alla compagnia assicuratrice l'80% delle spese.

La sentenza fu appellata, in via principale, dal *****, che chiese affermarsi l'esclusiva responsabilità del *****, con la conseguente condanna dello stesso e della compagnia di assicurazione all'integrale risarcimento dei danni, e, in via incidentale, dalla compagnia di assicurazioni, che chiese l'integrale rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.

***** rimase contumace anche nel giudizio d'appello.

Il Tribunale di Sassari, in accoglimento dell'appello incidentale, respinse la domanda proposta dal ***** nei confronti del ***** e della compagnia di assicurazione, sulla base delle seguenti considerazioni:

- la tesi del ***** (secondo cui l'incidente si sarebbe verificato perchè l'autoveicolo del S., che egli stava sorpassando, in un tratto di strada rettilineo, aveva, a sua volta, iniziato una manovra di sorpasso del veicolo che lo precedeva, intersecando così la traiettoria della propria auto e determinandone l'uscita di strada) non era provata, così come non era provato il nesso di causalità tra i danni lamentati dal ***** ed il sinistro;

- la ricostruzione del sinistro, contenuta nel modulo CID, non poteva costituire prova nei confronti della compagnia assicuratrice, perchè il detto modulo non risultava essere stato ad essa tempestivamente trasmesso e perchè non risultava essersi verificato uno "scontro tra veicoli", requisito richiesto dal D.L. n. 857 del 1976, art. 5;

- gli elementi risultanti dal modulo CID - al quale poteva essere attribuita soltanto il valore di prova atipica - apparivano in insanabile contrasto con la documentazione fotografica acquisita agli atti, con le osservazioni svolte dal consulente tecnico d'ufficio e con la circostanza che sull'auto del ***** non erano state riscontrate tracce di collisione;

- del tutto da condividere erano, quindi, le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio, secondo cui i danni riscontrati sull'autoveicolo del ***** non erano compatibili con la dinamica del sinistro descritta dalle parti, cosicchè, se l'incidente si era effettivamente verificato, non si era svolto, comunque, con le modalità indicate;

- pertanto, non era da ritenere sussistente la prova del fatto e del nesso di causalità con i danni dei quali il ***** aveva chiesto il risarcimento.

Per la cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso *****.

La s.p.a. ***** e ***** non hanno svolto attività difensiva.

La causa, dapprima assegnata alla terza sezione civile, è stata rimessa alle sezioni unite essendosi ravvisata una questione di massima di rilevante importanza in relazione ai motivi addotti a sostegno del ricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso si denuncia: Violazione degli artt. 112, 339, 342 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

Si deduce che la sentenza di primo grado, che aveva pronunciato la condanna in solido del ***** e della s.p.a *****, era stata impugnata solo da quest'ultima, che aveva chiesto la reiezione della domanda contro di lei proposta dal *****; nessuna impugnazione era stata invece proposta da *****, con la conseguenza che il giudice d'appello non avrebbe potuto rigettare la domanda, avanzata nei confronti del predetto dal ***** e già accolta, sia pure parzialmente, dal giudice di primo grado.

Con il secondo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2054, 2697 e 2735 cod. civ., nonchè del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, commi 1 e 2, convertito nella L. n. 39 del 1977 in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

La censura svolge le seguenti argomentazioni:

- il Tribunale ha immotivatamente disatteso le risultanze del modulo CID, che con riferimento al S. aveva valore di confessione stragiudiziale, nel quale erano con precisione indicati l'ora ed il luogo del fatto, i mezzi coinvolti, il teste presente, le modalità del sinistro, la dichiarazione del S. di avere costretto con la sua manovra il C. a "stringere a sinistra", nonchè il punto di contatto tra i due mezzi;

- v'era la prova della collisione tra i due veicoli e la dinamica del sinistro era stata confermata dal teste indicato nel modulo CID ed aveva trovato riscontro nell'interrogatorio libero e in quello formale del C.;

- la prova del sinistro e delle sue modalità era stata data dal C. a mezzo di prove documentali ed orali e tale prova non poteva essere superata dalla consulenza basata su mere deduzioni, tra l'altro, erronee e contraddittorie;

- la prova del nesso causale tra i danni ed il sinistro era stata fornita e del resto la sentenza del giudice di pace sul punto non era stata impugnata;

- il Tribunale ha erroneamente ritenuto che il D.L. n. 857 del 1976, art. 5 trovi applicazione soltanto nel caso di "scontro" tra i veicoli inteso nel senso di contatto materiale tra gli stessi idoneo a cagionare danno ad entrambi, mentre è da considerare "scontro" "qualsiasi contatto tra i mezzi cha causalmente provochi, di per sè ovvero in conseguenza di manovre illegittime e colpose, un sinistro";

- il modulo CID era pienamente probante nei confronti della compagnia assicuratrice, perchè gli elementi in esso indicati avevano trovato riscontro negli altri elementi di prova acquisiti al processo;

- la valenza probatoria del modulo CID non poteva essere inficiata dal rilevato ritardo con cui, secondo il Tribunale, esso era stata trasmesso alla compagnia assicuratrice; ciò perchè: nessun termine era previsto dalla legge per l'invio del modulo; nessuna eccezione era stata sollevata in proposito dalla compagnia di assicurazione; il modulo era stato consegnato tempestivamente dal C. alla propria compagnia assicuratrice;

- il Tribunale ha immotivamente ritenuto che la compagnia assicuratrice avesse fornito la prova contraria, su di essa incombente, ai sensi del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, comma 2.

Con riferimento ai detti motivi, la terza sezione civile di questa Corte, ha rilevato che gli stessi pongono una questione di massima di particolare importanza (artt. 374 e 376 cod. proc. civ.) e, pertanto, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha disposto la trattazione della causa da parte di queste sezioni unite.

L'ordinanza, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, osserva che in essa sono rinvenibili due principi:

- uno, secondo cui il litisconsorzio previsto dalla L. n. 990 del 1969, art. 23, che impone al danneggiato che esercita l'azione diretta (art. 18) nei confronti dell'assicuratore di chiamare in giudizio il responsabile del danno, "soddisfa l'esigenza che sulla responsabilità dell'assicurato e dell'assicuratore si statuisca in un unico contesto, in modo uniforme", cosicchè l'impugnazione proposta dal solo assicuratore impedisce che sulla responsabilità del danneggiarne, chiamato in giudizio, si formi il giudicato.

- l'altro, secondo cui "il modulo di constatazione amichevole di sinistro stradale redatto ai sensi del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito con modificazioni in L. n. 39 del 1977, (quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti e completo in ogni sua parte, compresa la data) ha valore probatorio di confessione esclusivamente nei riguardi del suo autore, mentre genera soltanto una presunzione iuris tantum nei confronti dell'assicuratore, come tale superabile con prova contraria", con la possibilità, quindi, che la responsabilità dell'assicurato venga affermata in base alla sua confessione, mentre l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore venga respinta ove egli fornisca la prova contraria.

Con riferimento al caso in esame l'ordinanza osserva che il Tribunale ha respinto la domanda proposta nei confronti del responsabile del danno che, con la sottoscrizione del modulo, aveva ammesso fatti per sè sfavorevoli; con ciò il Tribunale aveva fatto applicazione del primo principio, secondo cui la decisione deve essere unitaria, sia per l'assicurato, sia per l'assicuratore, ma aveva disatteso il secondo principio, secondo cui la dichiarazione di fatti sfavorevoli al responsabile del danno, contenuta nel modulo da lui sottoscritto, ha valore di confessione stragiudiziale.

Il Tribunale osserva ancora che se il Tribunale avesse affermato la responsabilità dell'assicurato, in base alla sua confessione, e rigettato la domanda nei confronti dell'assicuratore, ritenendo che questi avesse offerto la prova contraria rispetto a quanto dichiarato dall'assicurato nel modulo CID, avrebbe rispettato il secondo principio, ma avrebbe disatteso il primo.

L'ordinanza, a questo punto, prospetta, sia pure in via dubitativa, le seguenti possibili soluzioni:

- un'applicazione dell'art. 2733 cod. civ. in linea col primo principio, nel senso che la confessione di uno soltanto dei litisconsorti necessari sia bensì liberamente apprezzabile dal giudice, ma in modo conforme per tutti i litisconsorti, come affermato da Cass., 14 gennaio 1987, n. 198; ma a ciò, secondo l'ordinanza, sembra ostare la lettera e la ratio del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, comma 3, che ha anche funzione dissuasiva di tentativi di frode in danno dell'assicuratore;

- ritenersi che l'impossibilità di un apprezzamento (e di conseguenze) difforme per il confitente e per il litisconsorte non confitente sia da riservarsi ai soli casi di litisconsorzio sostanziale in cui sia dedotto un unico rapporto, con la conseguente possibilità di valutare diversamente la confessione dell'assicurato nei casi di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 23: ammettendosi, cioè, che la sua confessione (tramite il modulo di constatazione amichevole) non abbia effetto solo per l'assicuratore che abbia offerto la prova contraria ai sensi del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, comma 3; ciò, però, secondo l'ordinanza, comporterebbe lo scostamento dal primo principio, dovendo allora riconoscersi la possibilità che lo stesso fatto sia ritenuto vero per l'assicurato e non vero per l'assicuratore, quantomeno nei casi in cui sia il solo assicuratore del responsabile (e non anche il solo assicurato) a dover essere mandato indenne dalla pretesa risarcitoria del danneggiato.

Sembra a queste sezioni unite che, al fine di dare una risposta ai quesiti posti con l'ordinanza di cui sopra - che trovano fondamento nelle questioni poste con i motivi del ricorso - occorra partire dall'analisi della struttura dell'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, disciplinata dalla L. n. 990 del 1969, art. 18, e dall'accertamento delle ragioni del litisconsorzio che il successivo art. 23 impone di realizzare nei confronti del responsabile del danno.

In particolare occorre verificare se il procedimento litisconsortile disciplinato dai suddetti articoli tolleri che si possa giungere ad una decisione che non sia unica per tutte le parti che vi devono necessariamente partecipare.

Tale accertamento appare necessario perchè, se ben si osserva, più o meno consapevolmente, la tesi prevalente nella giurisprudenza, che, pure riconoscendo nella fattispecie considerata la ricorrenza di un litisconsorzio necessario previsto dalla legge, afferma che la confessione del danneggiale assicurato fa piena prova nel rapporto tra questi ed il danneggiato, mentre può essere liberamente apprezzata dal giudice nel diverso rapporto tra assicurato ed assicuratore, si fonda sulla tesi che non in tutti i casi in cui è necessaria la partecipazione al giudizio di una pluralità di parti sussiste anche la necessità che la sentenza sia unica per tutte, donde il diverso senso da attribuire all'espressione litisconsorzio necessario, che nell'art. 102 c.p.c., esprime solo l'esigenza che al giudizio partecipino più soggetti, mentre nell'art. 2733 c.c., comma 3, si riferisce non a tutti i casi di litisconsorzio ma solo a quelli in cui la decisione deve essere uguale per tutte le parti in causa.

Ai sensi dell'art. 1917 c.c., che disciplina l'assicurazione della responsabilità civile, di cui l'assicurazione obbligatoria per la responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli costituisce una specie, l'assicuratore è tenuto a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.

E' giurisprudenza costante di questa Corte che l'assicurazione della responsabilità civile non può essere inquadrata tra i contratti a favore dei terzi giacchè per effetto della stipulazione non sorge alcun rapporto giuridico diretto ed immediato tra il danneggiato e l'assicuratore, ma l'obbligazione dell'assicuratore relativa al pagamento dell'indennizzo all'assicurato è distinta ed autonoma rispetto all'obbligazione di risarcimento cui l'assicurato è tenuto nei confronti del danneggiato, talchè quest'ultimo non ha azione diretta contro l'assicuratore (v. in tal senso Cass. n. 8382/93 e successivamente, Cass. n. 2678/96; Cass. 4364/97; Cass. 4364/00; Cass. 10418/02; nonchè Cass. 8650/96, la quale ha precisato che il principio opera anche quando l'indennità sia stata pagata direttamente al terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 1917 cod. civ., comma 2).

In deroga a questa disciplina, la L. n. 990 del 1969, art. 18, dispone che il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante, per i quali a norma della medesima legge vi è obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione. Con il comma 2, la suddetta norma inoltre dispone che fino alle somme minime per cui è obbligatoria l'assicurazione, indicate nella tabella A allegata alla legge, l'assicuratore non può opporre al danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto, nè clausole che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno, ed altresì stabilisce che l'assicuratore ha tuttavia diritto di rivalsa verso l'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione.

Fin da Cass. Sez. un. nn. 5218 e 5219/83 la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la L. n. 990 del 1969, prevedendo l'azione diretta del danneggiato contro l'assicuratore, ha creato - accanto al rapporto, sorto dal fatto illecito, tra il danneggiante e l'assicurato ed al rapporto contrattuale fra il responsabile e l'assicuratore - un terzo rapporto che, sul presupposto del primo ed in attuazione del secondo, obbliga ex lege l'assicuratore verso il danneggiato; in sostanza l'assicuratore non resta più estraneo al rapporto tra il suo assicurato ed il terzo danneggiato, ma viene inserito quale parte e protagonista attivo nel rapporto risarcitorio dipendente dall'illecito di cui l'assicurato è responsabile, con la conseguenza che la richiesta del danneggiato lo rende contraddittore diretto e primario per l'accertamento e la quantificazione dell'obbligazione risarcitoria dell'assicurato e lo costituisce debitore verso lo stesso terzo della relativa prestazione.

Secondo lo schema delineato dalla L. n. 990 del 1969, il danneggiato, allorquando, trascorso inutilmente il termine di cui all'art. 22, agisce nei confronti dell'assicuratore per essere risarcito del danno, non chiede che l'assicuratore sia condannato ad adempiere in suo favore l'obbligo che il predetto ha nei confronti dell'assicurato in base al contratto, ma fa valere un diritto suo proprio nei confronti del predetto assicuratore. Ciò è sufficientemente provato dal fatto che, secondo la legge, l'assicuratore non può opporre al danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto, nè clausole che prevedono l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno.

L'accoglimento della domanda del danneggiato presuppone che siano accertate:

- l'esistenza di un contratto di assicurazione tra l'assicuratore convenuto e colui che è indicato come responsabile del danno;

- l'esistenza di una danno e la responsabilità del soggetto assicurato.

Tali accertamenti, anche se non esplicitamente formulati, costituiscono oggetto della domanda che il danneggiato propone nei confronti dell'assicuratore, la quale ha quindi il seguente contenuto:

a) si accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caio ha subito a seguito di incidente stradale;

b) si accerti che Tizio è assicurato per la responsabilità civile con la società X;

c) si condanni la società X, obbligata ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 18, al risarcimento dei danni subiti da Caio.

L'accertamento negativo in ordine ad una sola delle indicate circostanze importa che la domanda proposta nei confronti dell'assicuratore ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 18 debba essere respinta.

Infatti, in assenza di un contratto di assicurazione non sorge alcun obbligo di indennizzo a carico dell'assicuratore convenuto e, del resto, una volta accertata l'esistenza del rapporto assicurativo l'obbligo di indennizzo diretto da parte dell'assicuratore non sussiste se non sussiste anche la responsabilità dell'assicurato in ordine al fatto dannoso, o perchè questo non si è verificato, o perchè pur essendosi verificato non è connotato dalle caratteristiche attribuitegli, ovvero ancora perchè, pur essendo connotato da quelle caratteristiche, non comporta alcun obbligo risarcitorio.

L'art. 18 propone una situazione di questo tipo. Vi è da un lato un soggetto che assume di essere rimasto danneggiato da un sinistro stradale, il quale agisce in giudizio e dall'altro l'assicuratore che la legge costituisce come obbligato al risarcimento del danno cagionato dal proprio assicurato. Si hanno pertanto due soggetti danneggiato ed assicuratore legittimati rispettivamente ad agire e resistere nel giudizio in forza di un rapporto sostanziale che prevede un'obbligazione del secondo direttamente nei confronti del primo.

Senonchè, come si è visto, l'accertamento dell'esistenza del contratto di assicurazione e quello relativo alla responsabilità dell'assicurato, i quali costituiscono oggetto della domanda proposta dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore, riguardano rapporti rispetto ai quali la titolarità è del responsabile del danno.

E', infatti l'assicurato che ha, con la stipulazione del contratto, costituito il rapporto assicurativo che, sebbene non perda la sua caratteristica di contratto finalizzato a tenerlo indenne dal rischio del risarcimento dovuto a causa di una sua responsabilità civile, rende, tuttavia, l'assicuratore direttamente responsabile nei confronti del danneggiato estraneo al rapporto contrattuale; è d'altra parte il danneggiarne l'autore dell'illecito che fa sorgere il diritto al risarcimento da parte del danneggiato nei confronti dell'assicuratore.

In una situazione di questo genere la L. n. 990 del 1969, art. 23 ha previsto che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore deve essere chiamato il responsabile del danno.

Si tratta di un litisconsorzio che è necessario non solo perchè è previsto dalla legge, ma anche perchè l'accertamento dei due rapporti in cui è coinvolto il responsabile del danno non costituiscono un mero presupposto per l'accoglimento della domanda proposta dall'assicurato nei confronti dell'assicuratore, ma costituiscono invece uno degli oggetti della domanda.

Tale accertamento non può che essere unico e uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel processo, non potendosi nel medesimo giudizio affermare, con riferimento alla domanda proposta dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore, che il rapporto assicurativo e la responsabilità dell'assicurato esistano nel rapporto tra due delle parti e non per l'altra, e ciò non soltanto in base al principio di non contraddizione, ma soprattutto in base alla struttura dell'azione così come disciplinata dalla L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 23, se si ha presente che l'obbligazione dell'assicuratore di pagare direttamente l'indennità al danneggiato, non nasce se non esiste il rapporto assicurativo e se non è accertata la responsabilità dell'assicurato.

Nè è sostenibile che l'univoco accertamento che il giudice compie in ordine all'azione promossa dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore vale solo con riferimento al rapporto diretto che la legge istituisce tra i due.

Si consideri come nessuno abbia mai dubitato che l'accertamento della esistenza del contratto di assicurazione e della responsabilità dell'assicurato, compiuto nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore, valga anche nel rapporto tra assicuratore e responsabile del danno.

Nessuno ha mai sostenuto, infatti, che l'assicuratore condannato a risarcire il danno, il quale, in separato giudizio svolga l'azione di rivalsa nei confronti dell'assicurato, assumendo di aver indennizzato il danneggiato pur avendo avuto contrattualmente il diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione, possa vedersi opporre dall'assicurato che egli non era resp